Labirinti

Le idee riescono a trovare l’uscita solo dopo aver attraversato un complicatissimo labirinto mentale, in cui raccolgono avanzi di memoria di viaggi, di libri, di immagini di film. E’ facile che si perdano, è opportuno allora tracciarne il cammino o lasciarsi dietro il classico filo d’Arianna per ripercorrerne a ritroso le origini.

Quando, nelle sale italiane, uscì “Il nome della rosa” di Jean-Jacques Annaud, ero uno studente prossimo alla maturità e ne rimasi affascinato e contrariato al tempo stesso.

Negli anni compresi quel mio sentimento contrastante: la conoscenza a cui oggi si può liberamente accedere, era un fatto affascinante e misterioso, ma per pochi eletti. Anche lì, dove pochi avevano a portata di mano tutti i tesori letterari dell’epoca, non vi era possibilità alcuna di progredire. Tutto ciò che era pericoloso per le coscienze, veniva censurato.

Oggi la cultura è una parola così generica, che non si sa più cosa voglia dire. Ogni ambito culturale ha le sue regole e i suoi censori, e spesso ci si muove in labirinti complicatissimi.

La scena che ho amato di più di quel film è la scoperta della biblioteca.

Ho ripercorso le varie sequenze, immaginando di essere all’interno della torre, protagonista di un bel rompicapo.

Sono affiorate alla memoria le scale illusorie di Escher, le stampe calcografiche del Piranesi della serie delle “Carceri” e le strabilianti opere d’ingegneria degli antichi costruttori di cattedrali.

Amo pensare che Jean-Jacques Annaud, dopo aver letto l’opera di Umberto Eco, producesse sogni poco tranquilli e che una notte, per trovare il bagno, dovette faticare non poco.

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