Copertina III° Volume “I musicisti piceni tra il XVIII e il XXI secolo”

È inusuale parlare di una copertina; mi è stato comunque chiesto ufficialmente dall’autore di questa collana di saggi e perciò lo farò.

Quando Marco mi ha chiesto di realizzare la copertina del primo volume, come amico l’ho voluto accontentare, ma presto mi sono reso conto del privilegio che avevo aderendo ad un progetto di così ampio respiro.

Nel primo volume ho tenuto conto dell’unità del territorio piceno, che per sua natura è un mutare progressivo di forme, una fusione di culture arcaiche, un bacino culturale ricco  di storia popolare e di raffinatezze insospettabili, il tutto tenuto insieme da una colonna sonora composta un po’ da ciascun autore, poeta, compositore, musicista o semplicemente cantastorie.

Gli elementi utilizzati non sono altro che scorci rubati di una natura, che nella sua energia mostra già il suo personale accordo con l’animo umano.

Lo spartito è il cielo punteggiato di note che volano tra i pentagrammi come stormi di uccelli, ma non è solo cielo, è anche terra, sabbia, un bagnasciuga su cui s’infrange un’onda del mare, che simboleggia l’approdo di culture e perciò un cambiamento, una mutazione in atto; una sedimentazione di storie, che a volte cela e protegge e a volte scopre e mostra prepotentemente dei tesori culturali insospettati.

C’è la campagna e i suoi borghi, i suoi castelletti arroccati e infine, ma non ultima, la montagna, che per sua natura è simbolo della madre che dà tutto per i suoi figli, mutando parte della sua natura in paesaggi più dolci, colline, conglomerati, sabbie.

C’è l’estro umano che, manipolando le forme naturali e la materia stessa, compone nuove identità e la musica di per sé è un’astrazione della realtà, che va a toccare corde così profonde da essere molto più vicino all’anima umana di tante altre forme espressive.

Nella copertina di questo volume lo spirito musicale è una tela su cui si può dipingere qualsiasi meraviglia.

I pentagrammi sono fili che corrono paralleli all’infinito, trapassano il tempo e portano con sé ricordi, storie di uomini e di popoli.

Ogni storia viene stesa come colori da un’infinità di piccoli pennelli. Noi non vediamo nulla, solamente segni.

Comporre il quadro è vedere materializzarsi volti, luoghi, epoche; comparire, fare un sorriso, dare un’occhiata e, come in un sogno, svanire di nuovo. Ma i luoghi restano e sono scorci della nostra terra. Luoghi noti e ormai mutati o scomparsi del tutto e di cui rimangono solo il suono del vento nei campi, un battito d’ali, un canto popolare, una processione, un violino, una fisarmonica.

Forse mi sbaglio, ma la musica assomiglia più ad un sogno dove tutto appare tra il reale e il fantastico. Dove tutto appare e scompare e a volte si sovrappone anacronisticamente, mettendo teste su corpi diversi e personaggi che passeggiano in storie di altri.

Un sogno in cui tutto è possibile. Un sogno in cui tutto è unito e permeato dalla stessa identità di popolo.

C’era bisogno che tutto ciò venisse riscoperto e valorizzato.

È un sogno anche questo: il sogno appassionato di un musicista che ama le sue radici e che vuole riscoprirle.

Occorre che ognuno scriva e suoni la propria musica, ma che abbia sempre una storia a cui attingere.

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